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APPUNTI DI VIAGGIO, SPUNTI, RIFLESSIONI SULLA TERRA DOVE NACQUERO GLI DEI

sabato 24 aprile 2010

24 aprile 1915: ricordando il genocidio degli Armeni

Il 24 aprile ricorre il 95° anniversario del genocidio degli Armeni, chiamato "Metz Yeghern", il Grande Male.

Premesse storiche
Le origini del popolo Armeno in Asia Minore risalgono al II secolo a.C.
L’ubicazione geografica dell’antica Armenia è compresa tra il Caucaso e l’Eufrate, in un ampio territorio compreso tra i laghi di Van, Sevan e Urmià.
Gli Armeni nel corso della storia vennero inglobati e spesso divisi sotto il dominio di vari imperi: subirono la dominazione dei Medi e dei Persiani, successivamente dell’impero Romano, quindi Bizantino, poi ancora dell’impero Arabo-Islamico, di quello Selgiuchide ed infine dal XIV secolo dell’impero Ottomano e nel XX secolo di quello Russo.
La conversione al cristianesimo avvenne sul finire del III secolo d.C ed influenzò in modo radicale la loro identità storica: fu il primo popolo a convertirsi e a porre il Cristianesimo come religione di stato. Fu proprio la religione cristiana che permise a questo popolo di mantenere una identità culturale nel corso dei secoli, nonostante le numerose dominazioni subite.

I fatti
Il 1821 anno dell’Indipendenza della Grecia dall’Impero Ottomano, segna l’inizio della crisi e dello smembramento dell’impero Ottomano.
Numerose erano le etnie che cercavano l’indipendenza e sempre maggiore era la pressione dell’impero zarista russo. All’interno dell’impero vi erano numerose minoranze cristiane come Serbi, Bulgari, Greci dell’Asia minore, Assiri e Armeni che cercavano l’autonomia politico-religiosa. Inoltre le potenze europee, in particolare Francia e Inghilterra, vedevano nell’impero un baluardo contro le mire espansionistiche russe.
Nel XIX si verifica un notevole risveglio culturale, intellettuale ed economico per gli Armeni.
Si trattava di un popolo laborioso e pacifico di agricoltori, commercianti, intellettuali che chiedeva non tanto uno stato indipendente quanto il riconoscimento dell’uguaglianza e della libertà culturale all’interno dell’impero. Gli Armeni nell’impero erano concentrati oltre che in Cilicia, nei sei vilayet (=distretti) orientali di Van, Bitlis, Erzerum, Diyarbekir, Kharput e Sivas.
Nel 1876 salì al trono il sultano Abdul Hamid II. L’impero era ormai un “gigante malato”, in crisi sul fronte russo e su quello europeo, ma anche su quello interno per le rivolte dei Curdi.
La nascita di alcuni movimenti indipendentisti e di partiti politici armeni, venne vista come una minaccia all’integrità dell’impero. Il sultano organizzò reggimenti para militari detti hamidiès costituiti da Curdi e da carcerati, con lo scopo di reprimere la minoranza armena.

L’inizio del genocidio
Nel 1894 iniziano i primi massacri e le uccisioni di massa. Il primo massacro sistematico e pianificato ebbe luogo nella regione di Sassun a ovest del lago di Van.
Venivano spesso alimentate voci di complotti armeni (i panettieri armeni venivano accusati di avvelenare il pane) e venivano estorte con la tortura ammissioni di colpevolezza con lo scopo di istigare il fanatismo della popolazione turca. Tutto ciò diede il via a numerosi massacri sotto l’occhio complice e indifferente delle autorità locali.
Tra il 1894 e il 1896 sono state stimate tra le duecento-trecento mila vittime con alcune decine di migliaia di conversioni forzate all’Islam e con migliaia di Armeni in fuga dall’impero.
I massacri furono alimentati dal fatto che l’impero si stava disgregando, vi erano continue pressioni sul fronte russo, gli Armeni si organizzavano in movimenti di resistenza che talora simpatizzavano con il nemico russo.
In questa situazione di crisi un ruolo importante fu rivestito dal partito nazionalista turco che voleva fortemente un ritorno alle origini. L’obbiettivo era quello di riunire tutti i popoli di etnia turca, come i Tatari dell’Azerbaigian, i Kazaki, gli Uzbechi, in parte inglobati nell’impero russo o in quello persiano, in un’unica grande nazione. Tale progetto si basava sulla teoria del “panturchismo” e del “turanesimo”, basate sull’omogeneità etnica, religiosa e linguistica del nuovo stato turco.
E’ necessario infatti ricordare che l’impero era costituito da una popolazione eterogenea: cristiani (slavi, greci, siriani, armeni) e musulmani (turchi, curdi, arabi). In particolare gli Armeni, di religione cristiana, attivi intellettualmente ed economicamente, rivolti verso occidente, con le richieste di autonomia rappresentavano un ostacolo al progetto di costituire uno stato di cultura islamica e di etnia e lingua turca.
Nel 1908 il partito dei Giovani Turchi iniziò la scalata al potere istituendo il Comitato Unione e Progresso (Ittihad ve Terraki); progressivamente il ruolo del sultano divenne sempre meno importante e successivamente venne relegato ad un ruolo puramente simbolico.
La seconda ondata di massacri avvenne nell’aprile 1909 in Cilicia con trentamila vittime.
Nel 1913 fu stabilita una dittatura militare diretta dai tre uomini forti del regime: Enver, Taalat e Djemal Pascià rispettivamente futuri ministri della Guerra, dell’Interno e della Marina.
Nel 1914 venne istituita l’Organizzazione Speciale, diretta dai due medici Nazim e Behaeddin Chakir, con il compito di deportare tutti gli Armeni dell’Anatolia, farli confluire nel deserto siriano ed eliminarli.
Schierato con la Germania, il governo Turco sotto la guida di Enver, entrò in guerra contro Francia, Inghilterra e Russia.
A quell’epoca circa due milioni di Armeni si trovavano nell’impero ottomano e circa un milione in Russia. Bastò la militanza degli Armeni russi nell’esercito russo per scatenare la repressione, accusando gli Armeni di tradimento. L’autodifesa degli Armeni a Van minacciati da Djevded comandante delle armate turche e provvisoriamente salvati dall’avanzata dell’esercito russo, servì da pretesto per iniziare il massacro.

24 aprile 1915
All’alba di sabato 24 aprile 1915 vennero arrestati i maggiori esponenti Armeni di Costantinopoli: intellettuali come il poeta Daniel Varujan, uomini politici come il deputato Krikor Zohrab, commercianti, banchieri. In un mese più di mille Armeni furono arrestati, deportati verso l’interno dell’Anatolia e massacrati lungo il cammino.
Nell’Anatolia orientale ai notabili venivano estorte con la tortura ammissioni di colpevolezza; successivamente si procedeva all’esecuzione capitale per tradimento.
I deportati dovevano compiere centinaia di chilometri a piedi sino ad Aleppo in Siria (punto di raccolta), e quindi venivano inviati a morire nei deserti della Siria e della Mesopotamia. L’obiettivo della deportazione era il seguente: “Destinazione: il nulla”.
La maggior parte dei deportati moriva a causa delle malattie, della fame, della sete, degli stupri delle sevizie e delle uccisioni messe in atto durante le centinaia di chilometri percorsi a piedi. I sopravvissuti venivano annegati nelle acque dell’Eufrate o arsi vivi all’interno di caverne nei pressi del deserto. Molte migliaia di Armeni inoltre, furono annegati nel Mar Nero e nel mare antistante Trebisonda.
In tre mesi, alla fine del mese di luglio del 1915 non restava più un armeno nell’Anatolia orientale.
In Siria, sulle rive dell’Eufrate, il deserto di Deir ez Zor rappresentò il culmine del martirio del popolo armeno.
Approfittando della ritirata dell’esercito russo in seguito alla rivoluzione di ottobre del 1917, l’impero ottomano lanciò un’ulteriore offensiva contro l’Armenia orientale. L’offensiva fu bloccata nella battaglia di Sardarabad alla fine di maggio 1918. Fu così proclamata la prima Repubblica d’Armenia e il 30 ottobre 1918 l’impero ottomano capitolava e firmava l’armistizio di Mudros con gli alleati.
Successivamente il 10 agosto 1920 il trattato di Sèvres sanciva l’esistenza nella parte orientale dell’ex territorio ottomano di uno Stato Armeno indipendente e di un Kurdistan autonomo.
Tuttavia, dopo la fuga di Enver, Taalat e Djemal, un giovane politico Mustfà Kemal riprese in mano la situazione con una nuova ondata di nazionalismo all’insegna della laicità dello stato.
In barba al trattato di Sèvres, verso la fine di settembre 1920 il governo Turco inviò le truppe guidate dal generale Karabekir e fece massacrare tutta la popolazione armena della zona appena attribuita alla neo costituita repubblica d’Armenia.
Nel 1921 vi fu un nuovo esodo di Armeni dalla Cilicia, fino a quel momento sotto il controllo francese ma poi subito restituita alla Turchia.
Nel settembre 1922 la città di Smirne venne saccheggiata e data alle fiamme con un nuovo esodo per Greci ed Armeni. Nel 1923 la conferenza di Losanna annullò gli accordi firmati a Sèvres.
Dopo la disfatta ottomana, i responsabili del genocidio fuggirono in Germania.
Nel 1919 a Costantinopoli ebbe luogo il processo ai responsabili, che vennero condannati in contumacia. Non venne espletata alcuna richiesta di estradizione e i verdetti di condanna vennero poi annullati.
Di fronte alla riluttanza delle autorità turche e alleate nell’eseguire le sentenze, il partito armeno Dashnag formò un’organizzazione di giustizieri. Fu così che vennero eliminati alcuni dei più spietati responsabili dei massacri: Behaeddin Chakir membro dell’Organizzazione Speciale, Djemal Azmi il boia di Trebisonda, Djemal Pascià e Taalat. Quest’ultimo fu ucciso a Berlino il 15 marzo 1921 da Solomon Tehlirian.
Nel 1922 sotto la guida di Mustafà Kemal detto Ataturk (il padre dei Turchi), fondatore della moderna Turchia, fu avvallato e completato il progetto dei Giovani Turchi sia con nuovi massacri che con la negazione sistematica della responsabilità dei crimini commessi.
Quel che restava dell’antica Armenia fu inglobato nell’Unione Sovietica.
Nel 1988 si verificarono numerose uccisioni di cittadini di lingua armena a Sumgai e Kirovabad, in Azerbaigian.
Nel 1989 scoppiò il conflitto tra la Repubblica Sovietica Armena e quella Azera per il controllo del Nagorno-Karabah, enclave armena in terra azera, in seguito ai pogrom di Sumgait e Kirovabad.
Nel 1990 si verificano nuove persecuzioni ed uccisioni contro la popolazione di origine armena con i pogrom di Baku del 1990 perpetrati dai turchi azeri.
L’Armenia è divenuta una repubblica indipendente nel 1991 dopo il crollo dell’URSS.
Il 90 % dell’Armenia storica rimane sotto il controllo della Turchia.
Gli attuali siti archeologici, le chiese ed gli antichi monumenti funerari armeni situati in territorioturco e azero, sono impiegati come poligoni militari e sono oggetto di sistematica distruzione.

Conclusioni
Il genocidio armeno fu il primo genocidio del XX secolo e fu preso come paradigma dallo stesso Hitler per intraprendere lo sterminio degli Ebrei (“…oggigiorno chi parla più del genocidio degli Armeni?...”).
La motivazione principale del genocidio, progettato con l’appoggio e la complicità del governo tedesco, fu di tipo politico. L’obiettivo era la cancellazione della comunità armena come soggetto storico, culturale e politico.
Il governo Turco attuale, che ambisce all’ingresso nell’Unione Europea, e la maggior parte degli storici turchi, negano fermamente che nel 1915 si sia verificato il genocidio del popolo Armeno. In Turchia parlare del genocidio armeno costituisce un reato punito dall’articolo 301 del codice penale turco, in quanto rappresenta “un’offesa all’identità turca”.
Numerosi sono i giornalisti, gli scrittori, gli intellettuali processati o sottoprocesso in Turchia per aver osato parlare del genocidio.
Lo stesso Oran Pamuk, premio Nobel per la letteratura, fu processato per aver affermato che un milione di Armeni furono massacrati nel 1915, ed in seguito decise di lasciare definitivamente la Turchia per le ripetute minacce di morte.
Ricordiamo l'omicidio a Istambul di Hrant Dink scrittore e giornalista armeno, già condannato a 6 mesi di reclusione per aver definito “un genocidio” i massacri degli Armeni del 1915-1916.
Tuttavia non bisogna pensare al genocidio armeno come conseguenza di una guerra santa; infatti le popolazioni arabe della Siria salvarono numerosi Armeni da morte certa nel deserto. La Turchia di oggi non è ovviamente responsabile dei crimini commessi nel 1915, ma una serena ed imparziale valutazione dei fatti storici aiuterebbe sia il popolo Turco a liberarsi dal peso opprimente ed infamante di un recente passato, sia il popolo Armeno che vedrebbe finalmente riconosciuta una verità storica estremamente dolorosa.
Il genocidio armeno è stato riconosciuto come realtà storica dall’ONU nel 1985 e dal Parlamento Europeo nel 1987.
Nel 1995 la Duna della Russia ha riconosciuto il genocidio armeno, come pure i parlamenti di Bulgaria e Cipro, della Grecia e del Libano nel 1996, di Belgio, Argentina e Francia nel 1998, della Svezia nel 2000.
In Italia, negli anni 1997-98, il genocidio armeno è stato riconosciuto da numerosi Consigli Comunali di varie città e così pure dal Consiglio Regionale della Lombardia.
Nel 1998 l’Onorevole Paglierini ha presentato una proposta di riconoscimento del genocidio armeno alla Camera dei Deputati, sottoscritta da parte di più di 170 parlamentari.
Anche Papa Giovanni Paolo II ricordò le persecuzioni subite dagli armeni a causa della propria fede cristiana e in un comunicato congiunto con il Katholicos armeno parlò del genocidio compiuto dai Turchi dichiarando che "il genocidio degli Armeni, che ha dato inizio al secolo, è stato il prologo agli orrori che sarebbero seguiti".

Bibliografia essenziale

I quaranta giorni del Mussa Dagh. Franz Werfel. Ed. Corbaccio

La masseria delle allodole. Antonia Arslan. Ed. Rizzoli

Mari di grano e altre poesie armene. Daniel Varujan. Ed. Paoline

Il canto del pane. Daniel Varujan. Ed. Guerini ed Associati

Metz Yeghern. Breve storia del genocidio degli armeni. Claude Mutafian. Ed. Guerini e Associati

Voci nel deserto.Giusti e testimoni per gli armeni. Pietro Kuciukian. Ed. Guerini e Associati

Viaggio tra i Cristiani d’Oriente. Pietro Kuciukian. Ed. Guerini e Associati

www.comunitaarmena.it

www.turchia.it

www.ambasciataditurchia.it

giovedì 22 aprile 2010

Viaggio a Cefalonia II: Sami.

E’ il porto principale dell’isola. Appena ti avvicini all’isola, ancor prima di entrare nel porto, ti colpisce la macchia mediterranea e l’abbondanza dei cipressi. Partendo da Sami, c’è una strada che sale verso l’alto e vi porterà verso un’acropoli con resti romani del II-III sec: cercate il cartello per ANTI SAMOS. Dall’alto il panorama è splendido, poi proseguendo si scende verso una bella spiaggia.
In prossimità di Sami vi sono le famose grotte di DRONGORATI e di MELISSANI. Pare che la grotta di Melissani, che è un lago sotterraneo, rappresentasse un luogo sacro dedicato al culto di Pan.
Se prendete la strada costiera in direzione di Skala (iniziamo una sorta di giro in senso orario dell’isola), attraverserete diversi paesi tra cui Koulurata, Aghios Nikolaos, Poros…incontrerete monti ulivi cipressi…e l’incessante canto delle cicale...


martedì 20 aprile 2010

Viaggio a Cefalonia

E’ la più grande delle isole dello Ionio (781Km2 di superficie, circa 32000 abitanti).
Fu alleata di Atene nel V sec. a.C., distrutta dai Romani nel 189 a.C., fu occupata dai Normanni in particolare da Roberto il Guiscardo (morì nel 1085 e fu sepolto in un paese che poi fu chiamato Fiskardo), i Turchi la tennero dal 1479 al 1500, poi fu la volta dei Veneziani fino al 1797.
Da ricordare il grande terremoto del 1953 che rase al suolo quasi completamente gran parte degli edifici e delle case in stile veneziano.
Ricordiamo i martiti di Cefalonia: l’8 settembre 1943 l’Italia firma l’armistizio. La divisione Acqui presente nell’isola viene attaccata e distrutta dagli ex alleati tedeschi. Muoiono circa 5000 soldati italiani, altri 6-7000 trovano la morte sulle navi fatte saltare al largo del’isola o nei campi di concentramento.
Sulla punta di San Teodoro, a nord di Argostoli c’è un monumento in porfido rosso (1977-79) che commemora i caduti italiani. Una parentesi: molti dei soldati italiani sopravvissuti rimasero in Grecia per combattere al fianco dei partigiani greci…mia faccia, mia razza…IL VIAGGIO CONTINUA...

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
La spiaggia di Skala, foto di M. Rossi
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

giovedì 15 aprile 2010

In viaggio verso Cefalonia (dai miei diari di Grecia)

Vorrei che il vostro viaggio, che in realtà è un NOSTOS cioè un ritorno in terra greca, si aprisse con la struggente poesia di K. Kavafis: Itaca. Se sbarcate a Igoumenitsa, prendete la strada verso PREVEZA: dovete fare tappa al NECROMANTEION DI EFIRA. E’ qui che scorre l’ACHERONTE!
Nel sito potete visitare una delle prime basiliche paleocristiane: MONI’ TOU AGHIOU IOANNI TOU PRODROMOU, vale a dire il santuario di S. Giovanni Battista.
Giovanni Battista viene detto “prodromos” perché ha anticipato la venuta di Cristo, ed inoltre l’ha battezzato. Nelle icone S. Giovanni Prodromo o, come diciamo noi, Battista è rappresentato vestito con le pelli di un cammello (perché viveva nel deserto), nell’atto di battezzare il Cristo e con un calice al cui interno giace la sua testa, segno della futura morte per decapitazione voluta da Salomè.

Torniamo al nostro NECROMANTEION (letteralmente luogo dove i morti fornivano responsi per i vivi).
Sotto le fondamenta della chiesa vi sono i resti di un edificio sacro ove i fedeli si recavano per consultare l’oracolo dei morti. Scendendo lungo una scalinata in pietra si raggiunge un luogo che rappresenta l’ingresso al regno dei morti: è proprio qui che scorre il fiume ACHERONTE (detto Stige dai Romani).
E’ qui che Caronte traghettava le anime verso l’oltretomba; è questo il luogo dove la Ninfa Teti, nel tentativo di rendere immortale il figlio Achille, lo immerse appena nato tenendolo per un tallone, unico punto vulnerabile del grande eroe…

E’ proprio vero… in Grecia si respira la storia, il mito è in ogni luogo…anche le pietre parlano…
Se guardate il paesaggio circostante al sito archeologico, vedrete alcuni acquitrini e molte coltivazioni, in particolare vigneti, campi di tabacco e alberi da frutto.

Proseguite il viaggio verso ARTA, città circondata da mura con moltissime vie interne, di aspetto orientale, direi turco (in effetti questo era territorio ottomano, e il luogotenente del Sultano era il famoso Alì Pashà…ma questa è un’altra storia da approfondire quando andrete a Nord verso Ioannina).
Poi da Arta in direzione Agrinion, si prende una strada interna tra i monti per giungere ad ASTAKOS, piccolo paese di pescatori un po’ anonimo ma che offre un traghetto giornaliero verso Cefalonia (compie una fermata intermedia a Itaca). Il traghetto dovrebbe partire verso le 13,30, ma l’orario è molto aleatorio. Per il biglietto bisogna chiedere al ristorante in prossimità del porto: vi indicheranno il capitano…

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

martedì 13 aprile 2010

Oltre le soglie di Ade...

Voglio segnalare un articolo di estremo interesse, pubblicato in: Laurentianum, 47 (2006), pp. 337-348.

Titolo: "OLTRE LE SOGLIE DI ADE. Un excursus mitografico", di Ezio Albrile.
I temi toccati: religione, viaggio, catabasi e anabasi...


http://www.asfer.it/upload/dl/ASFeR/ADE.pdf

mercoledì 7 aprile 2010

La magia dei templi greci: remedium contro gli affanni della vita quotidiana

Cito, senza commentare, un passo straordinario di Sir Patrick Leigh Fermor, tratto da "Mani. Viaggi nel Peloponneso", pag. 154 - Adelphi Edizioni (traduzione di Franco Salvatorelli).

"Una magica pace vive nelle rovine dei templi greci.
Il viaggiatore si adagia tra i capitelli caduti e lascia passare le ore, e l'incantesimo gli vuota la mente di ansie e pensieri molesti e a poco a poco la riempie, come un vaso che sia stato lavato e raschiato, di un'estasi tranquilla.
Quasi tutto ciò che è accaduto svanisce in un limbo d'ombre e di futilità ed è sostituito pianamente da un senso di semplicità luminosa e di calma che scioglie tutti i nodi e risolve tutti gli enigmi e sembra mormorare, benigno e suadente, che la vita, a lasciarla svolgere senza impacci e costrizioni e ricerche di soluzioni aliene, potrebbe essere illimitatamente felice"



Patrick Leigh Fermor e il rapimento del generale Kreipe a Creta

Tra i numerosi viaggi e le molte peripezie, Patrick Leigh Fermor, durante la Seconda Guerra Mondiale, si trovò in missione a Creta ove partecipò alla cattura del generale tedesco Kreipe.
Dal sito dell'adelfiana, possiamo leggere la rievocazione del rapimento del generale Kreipe e soprattutto l'incontro tra due uomini di grande cultura.
Buona lettura


http://www.adelphiana.it/pdf/fermor.pdf

martedì 6 aprile 2010

Omaggio a Lawrence Durrel

Molti sono gli scrittori che hanno amato la Grecia e che ci hanno regalato pagine indimenticabili di questo paese.
Ricordiamo i fratelli Durrell (Gerald e Lawrence), Henry Miller e Patrick Leigh Fermor.
Segnaliamo:
Geral Durrell: "La mia famiglia ed altri animali", ambientato a Corfù.
Lawrence Durrell: "Gli amari limoni di Cipro", "Riflessi di una Venere marina" e "La Grotta di Prospero".
Henry Miller: "Il Colosso di Maroussi" e "Prime impressioni della Grecia".
Patrick Leigh Fermor: "Mani. Viaggi nel Peloponneso".

Si veda, inoltre, il link sottostante:

domenica 4 aprile 2010

Il nostos felice

Quello descritto dal saggio re Nestore, sovrano di Pilo, è il prototipo e l'archetipo del nostos, vale a dire del ritorno in patria.
Nestore narra a Telemaco il viaggio di ritorno verso l'amata patria (Odissea, III libro): dopo una prima tappa a Tenedo, dove compie sacrifici agli dei, tocca Lesbo, Geresto, doppia il Sunio, il golfo di Argo e finalmente giunge a Pilo.
Il ritorno di Nestore è felice perchè adempie ad una serie di condizioni per garantirsi un ritorno certo: compiere al più presto il tragitto che conduce in patria per sfuggire ai pericoli e alle minacce divine, ritornare con la flotta e l'equipaggio integri, senza perdite.
Altri nostoi sono quello dei Mirmidoni guidati da Neoptolemo e di Idomeneo a Creta.
Nostoi travagliati sono quelli di Menelao (le sue peregrinazioni lo porteranno anche in Egitto) e e soprattutto di Odisseo.
Un nostos particolare è quello di Agamennone: rientra in patria velocemente e con un ricco bottino, ma ivi troverà la morte per mano di Clitennestra.

venerdì 2 aprile 2010

Se andrete a Itaca...

Pensate a Kavafis ma anche ad Omero e al suo Ulisse.
Se potete, visitate l’ANTRO DELLE NINFE, dove Ulisse depose i doni dei Feaci.
Tale antro viene descritto da Omero nel XIII libro dell’Odissea: è un antro oscuro, sacro alle Ninfe Naiadi, dove vi sono crateri ed anfore di pietra; in questo luogo le api depongono il miele e le Ninfe tessono manti purpurei. Vi sono due porte, una a nord (per gli uomini) ed una a sud (per gli dei).
Questa grotta, secondo Porfirio, rappresenterebbe la struttura dell’universo intesa secondo la teoria platonica.
E’ un luogo pieno di riferimenti non solo simbolici ma anche astronomici.
Se riuscite a trovarlo e a fotografarlo…fatemi sapere…

La caduta di Costantinopoli. La cultura greca tra Oriente e Occidente ( di Marco Rossi)

Introduzione
Nel corso della sua lunga esistenza, l’Impero Bizantino subì numerose minacce e devastanti attacchi. Il motivo principale era dato dalla sua posizione strategica a cavallo tra Europa ed Oriente.
La travolgente espansione dei Turchi Ottomani, la costante ricerca da parte delle repubbliche marinare di nuove basi commerciali, gli assalti da parte delle truppe cristiane durante le crociate (in particolare durante la IV crociata), i contrasti con la Chiesa di Roma, rappresentavano una continua minaccia per l’integrità dell’Impero.
La fine della civiltà bizantina è segnata dai tragici e fatali giorni del maggio 1453.
Il giorno 29, un martedì, verso le tre del mattino, l’esercito di Mehmet II sferrò l’attacco definitivo a Costantinopoli. Questo giorno decretò la fine dell’Impero Bizantino.

Inquadramento storico
Fondazione di Bisanzio e sviluppo dell’impero.
Bisanzio era una colonia dorica fondata dal megarese Byzas tra il 650 e il 659 a.C. sul Bosforo, nel Corno d’Oro. Alla città fu dato il nome di Bisanzio (Bizantyon).
Lo sviluppo di Bisanzio fu continuo, sia durante il periodo greco che quello romano, dal punto di vista politico, strategico e culturale.
L’11 di maggio del 330 d.C. Costantino I fondò Costantinopoli, sul luogo dell’antica Bisanzio e vi trasferì la residenza imperiale. La capitale venne chiamata la Nuova Roma (in greco Nea Romi Νέα Ρώμη) o la Città (την Πόλιν). Solo in seguito verrà chiamata Istambul, dalla contrazione della parola greca “città” (στην Πόλιν “stin bolin” = nella città, Istambul).
Con la morte di Teodosio il Grande nel 395 l’Impero Romano venne diviso in pars Orientalis (guidata dall’imperatore Arcadio) e in pars Occidentalis (guidata dall’imperatore Onorio): la separazione tra Oriente ed Occidente divenne sempre più netta. Nel 425 viene completata la costruzione delle mura teodosiane.
Con Giustiniano (518-619) iniziarono i continui assedi da parte dei barbari prima e dei turchi selgiuchidi poi. Nel 626 l’assedio dei Persiani e degli Avari, nel 674 e nel 714 l’assedio degli Arabi mussulmani, che avevano iniziato la loro inarrestabile espansione nel nome dell’Islam.
La rivalità con la chiesa di Roma e la contesa per il primato universale, culminò nel 1054 quando il cardinale Umberto di Silva Candida, delegato papale, consegnò la bolla di scomunica al patriarca Michele Cerulario nella Chiesa di Aghia Sophia. Questo evento segnò il culmine di un lungo periodo di antagonismo tra il papato di Roma ed il patriarcato di Costantinopoli.
Nel 1071 con la battaglia di Mantzikert vennero sgretolati i confini orientali dell’impero bizantino che venne sconfitto per opera dei turchi selgiuchidi guidati da Alp Arslan.
Le crociate
Nel 1077 Gerusalemme cadde in mano ai turchi selgiuchidi e nel 1095 venne proclamata la Prima Crociata da parte di Urbano II.
La conquista di Edessa nel 1145 per opera dei Turchi, diede il via alla Seconda Crociata (guidata da Luigi VII di Francia e dall’Imperatore Corrado III), che si concluse nel 1147 con la disastrosa battaglia di Antalya.
Nel 1187 Gerusalemme venne conquistata da Saladino, il sultano d’Egitto e quindi fu proclamata la Terza Crociata da Papa Gregorio VII e sostenuta da Federico I Barbarossa, imperatore del Sacro Romano Impero, e da Riccardo I d’Inghilterra, detto Cuor di Leone.
Nel 1198 papa Innocenzo III proclamò la Quarta Crociata con l’obbiettivo di attaccare l’Impero Romano d’Oriente. La Quarta Crociata culminò nel 1204 con il sacco di Costantinopoli e con l’incoronazione del conte Baldovino di Fiandra ad imperatore di Costantinopoli.
Michele VIII Paleologo riconquistò successivamente Costantinopoli ma nel 1274 si sottomise al papato al concilio di Lione.
Il quattordicesimo secolo segnò il contrasto tra Chiesa di Roma e Patriarcato Ortodosso di Costantinopoli. L’impero era inoltre minacciato dalle mire espansionistiche degli stati europei, dai commerci di Genova e Venezia, e dall’espansione dei Turchi Ottomani guidati da Osman I (1288-1326).
Nel 1396 Costantinopoli fu nuovamente assediata ad opera del Sultano Beyazid; l’assedio fu poi interrotto a causa della minaccia dei Mongoli guidati da Tamerlano.
Nel 1438-1439 si tenne il concilio di Ferrara e Firenze: l’imperatore Giovanni VIII Paleologo si sottomise al papato pur di ricevere i necessari aiuti per contrastare l’avanzata dei Turchi Ottomani. Venne quindi sancita l’unione delle Chiese d’Oriente e d’Occidente. Papa Eugenio proclamò una nuova crociata destinata al fallimento con la sconfitta delle truppe cristiane nella battaglia di Varna.
A Giovanni VIII successe il fratello Costantino XI Paleologo.

Il “filioque” e lo scisma d’Oriente
Le cause principali dello scisma consistevano nel fatto che il papa reclamava la propria autorità sui quattro patriarchi orientali, rivendicando il primato di Pietro sulle altre chiese.
Le dispute di carattere teologico furono numerose.
Già nel IV secolo d.C. l’eresia di Ario (donde il nome l'arianesimo) sosteneva che Cristo era uomo ed aveva ricevuto al momento del battesimo il logos divino, mettendo in secondo piano la figura del Figlio rispetto al Padre.
Nel 325 d.C. a causa delle continue divisioni che potevano minare l’unità dell’impero, Costantino convocò il concilio ecumenico di Nicea. Venne espressa una condanna dell’arianesimo e fu affermato che Gesù, il Figlio, era “generato, non fatto, consustanziale (cioè della stessa sostanza) del Padre”.
Nel 451 d.C. il concilio di Calcedonia stabilì che Gesù Cristo era “…perfetto nella sua divinità e perfetto nella sua umanità; vero Dio e vero uomo…”.
Successivamente, nel Credo Niceno Costantinopolitano la Chiesa di Roma introdusse il filioque per esprimere che lo Spirito Santo procede dal Padre e dal Figlio (“…qui ex patre filioque procedit…). Tale atto non venne riconosciuto dalla Chiesa Orientale, secondo cui invece lo Spirito Santo procede dal Padre. La disputa sul filioque fu una delle ragioni dello scisma d’Oriente, addotta dal patriarca di Costantinopoli Fozio nel conflitto con il papa.

La cultura bizantina e il continuum con la cultura greca
Come afferma Raffaele Cantarella “Romano di origine, cristiano di religione, orientale per posizione geografica, l’impero di Bisanzio è greco di lingua e di tradizione culturale”. Bisanzio rappresenta il cosiddetto ellenismo, vale a dire quel processo di diffusione della cultura e dei valori dell’antica Grecia, iniziato con Alessandro il Grande.
La lingua ufficiale dell’impero era il latino, ma la lingua della cultura era quella greca.
Sotto la dinastia dei Paleologhi si assiste ad un grande fermento culturale. Rinasce l’interesse per la Grecia classica, fioriscono la letteratura, la poesia e l’arte.
Basti pensare agli affreschi e ai mosaici risalenti all’inizio del quattordicesimo secolo nella chiesa di San Salvatore in Chora (Kariye Camii) a Costantinopoli fatti collocare da Teodoro Metochite gran logoteta di Andronico II Paleologo. Nelle scene della vita della Vergine, i personaggi pur con espressione ieratica e distaccata, sono meno austeri, cominciano ad essere espressivi e ad emanare calore.
Vengono fondati importanti centri culturali a Trebisonda nel Ponto e a Mistrà in Peloponneso. Si assiste alla nascita e allo sviluppo di una letteratura greca in lingua volgare, detta dimotikì (da δημος, demos = popolo), distinta dalla lingua dotta chiamata “catharevousa” (da καθαρός, katharos = puro).
Basti ricordare le opere di Gregorio di Nazianzio, di Giovanni Damasceno, del Patriarca Fozio, di Giovanni Tzetzes, di San Giovanni Crisostomo, solo per citare alcuni nomi.
Verso la metà del quindicesimo secolo, a Mistrà nel despotato di Morea (Peloponneso), Giorgio Gemisto Pletone religioso, filoso ed umanista alla corte dei Paleologhi, si faceva sostenitore di una rinascita della cultura greca e di una nuova religione di stampo neoplatonico.
L’arte e la cultura bizantina influenzarono profondamente la cultura e la pittura italiana, a partire dal XIV-XV secolo. Si pensi solo alla rinascita della filosofia neoplatonica con Pico della Mirandola, Marsilio Ficino. Ricordiamo quanta espressione dell’arte bizantina vi siano in Giotto, Duccio di Buoninsegna, Piero della Francesca.
Un esempio è dato dalla Risurrezione di Sansepolcro di Piero della Francesca: il Cristo risorto ha una maestà, un distacco ultraterreno, i suoi occhi guardano oltre. Tutto ciò ricorda la severità, la ieraticità dei volti del Cristo Pantocratore dei mosaici e delle icone bizantine.
Come afferma Raffaele Cantarella “senza Bisanzio l’occidente avrebbe avuto comunque la sua tradizione di cultura latina e la sua rinascita, ma non avrebbe potuto trovare i documenti diretti della civiltà greca, attraverso i quali potè risalire alla fonte stessa del pensiero europeo. Le conseguenze per la storia della civiltà sarebbero state incalcolabili”.

La caduta della Città
Martedì 29 maggio 1453 segnò uno degli eventi più tragici e drammatici nella storia occidentale, le cui conseguenze influenzeranno la storia e la cultura europea.
Dopo mesi di assedio, Costantinopoli, la Città, capitale dell’Impero Romano d’Oriente venne conquistata dai Turchi Ottomani guidati dal sultano Mehmet II Fatih il Conquistatore, detto anche Humkar, assetato di sangue.
L’assedio iniziò nell’aprile 1453. Maometto II attaccò la città sia dalla terra che dal mare con un esercito di circa 200000 uomini e con una flotta di 400 navi. I cristiani d’oriente erano in tutto poco più di 12000 mila con una flotta di 26 navi da guerra.
L’imperatore bizantino Costantino XI chiese aiuto agli stati cristiani europei, senza ottenere sostanziali rinforzi. Il Papa pretese la riunificazione della Chiesa d’Oriente con quella di Occidente ed il riconoscimento del primato della Chiesa di Pietro in cambio di un massiccio intervento militare per salvare Costantinopoli dall’imminente presa. I Bizantini non cedettero al ricatto e rimasero senza aiuti.
Aiuti limitati furono inviati dai Veneziani e dagli Spagnoli, spinti soprattutto dai possibili risvolti commerciali. Generoso fu invece l’aiuto portato dai Genovesi guidati dal valoroso Giovanni Giustiniani Longo.
Maometto II decise di attaccare con la sua potente artiglieria le antiche ma solide mura Teodosiane, edificate a partire dal 324. Fece costruire l’imponente fortezza di Rumeli Hisar affacciata sul Bosforo per meglio colpire con l’artiglieria la Città.
Si avvalse di un gigantesco e innovativo cannone, progettato e costruito Urban di Transilvania, in grado di sparare proiettili del peso di sei quintali ad una distanza di oltre un chilometro.
La Città era circondata dall’acqua eccetto il lato ovest, che era protetto da un imponente sistema murario fatto costruire da Teodosio.
I cannoni di Mametto II potevano sparare solo 2 o 3 colpi al giorno; per tale motivo i Bizantini avevano il tempo di riparare i danni.
I tentativi della flotta turca di entrare nel Corno d’Oro furono vanificati da una lunga catena tesa dai bizantini lungo la superficie dell’acqua, che impediva l’ingresso delle navi.
Per aggirare tale ostacolo Maometto II fece costruire una passerella di legno lunga circa 2 chilometri per superare lo sbarramento. Le navi vennero spinte da centinaia di schiavi lungo la passerella. La visione di questa impresa titanica suscitò grande impressione e gettò nel panico gli assediati che videro realizzarsi un’antica profezia secondo la quale Costantinopoli sarebbe caduta quando le navi avessero navigato sulla terra.
Da segnalare inoltre un’eclissi di luna occorsa il 22 maggio che fu interpretata come evento funesto per la Città.

L’ultima notte
La notte del 28 maggio fu celebrata l’ultima messa all’interno della cattedrale di Santa Sofia alla presenza dell’Imperatore, delle alte cariche del clero, dei nobili e della popolazione. Vennero esposte le sacre reliquie, le icone dei santi e della Vergine.
La cerimonia fu commovente: aleggiava ormai il presagio della imminente sconfitta ma Costantino XI ringraziò tutti i presenti per il contributo dato e pregò la Beata Maria Vergine.
Martedì 29 maggio i Turchi fecero breccia sulla Porta d’Oro ed entrarono nella Città. L’imperatore Costantino XI Paleologo tentò un’ultima disperata difesa ma scomparve nella mischia. Il suo corpo non fu mai trovato. Si dice che il suo cadavere sia stato riconosciuto poiché indossava calzature color porpora (tale era il colore delle vesti degli imperatori bizantini che venivano definiti porfirogeniti, cioè nati nella porpora) e per ordine di Mehmet II fu gettato in una fossa comune per impedire futuri pellegrinaggi sulla sua tomba.
Costantino XI Paleologo fu in seguito fatto martire e santo dalla Chiesa Ortodossa. Costantino XI fu l’ultimo imperatore dell’Impero Romano d’Oriente.
La popolazione fu massacrata dai vincitori, le chiese furono profanate e depredate. Santa Sofia venne trasformata in moschea e gli imponenti e magnifici mosaici del Cristo Pantocratore vennero coperti da uno strato di intonaco.
Secondo un’antica leggenda, all’irruzione dei Turchi in Santa Sofia, si sarebbe aperta una parete ed il sacerdote che celebrava la messa sarebbe stato inglobato assieme al calice all’interno delle mura della basilica. Sarebbe ritornato per concludere la celebrazione della solenne funzione solo quando la chiesa fosse tornata in mani cristiane.
Mehmet II entrò in Santa Sofia sul dorso del suo destriero e, come descrive lo storico turco Tursun Bey, dopo aver ammirato la bellezza delle opere d’arte, salì sulla cupola. Osservò la distruzione e la devastazione della Città e “…pensò all’instabilità e alla volubilità del mondo. Considerò che la sua fine è la rovina, e malinconicamente, dalla sua favella che diffonde zucchero, scaturì questo distico: Il ragno tira le tende alla finestra di Cosroe, il gufo suona la musica di guardia nel palazzo di Efrasyab”.
Testimonianze
-Dal diario del veneziano Niccolò Barbaro, testimone dell’assedio: “…lungo le strade di Costantinopoli il sangue scorreva come l’acqua dopo un temporale e i cadaveri galleggiavano verso il mare come meloni in un canale…”
-Dalla lettera di Isidoro di Kiev a Bessarione, spedita da Candia il 6 luglio 1453: “…Tutti i viali, le strade e i vicoli erano pieni di sangue e umore sanguigno che colava dai cadaveri dei civili sgozzati e fatti a pezzi…”, “…Avresti dovuto vedere la più infima soldataglia turca scovare e spartirsi fanciulle giovanissime e nobilissime, laiche e religiose…”, “…Nella chiesa che si chiamava di Santa Sofia…buttarono giù e fecero a pezzi tutte le statue, le icone e le altre immagini di Cristo, dei santi e delle sante…”, “…Abbattute le porte dell’iconostasi, agguantavano tutte le suppellettili sacre e le sante reliquie e le gettavano via come cose spregevoli e abbiette…”, “…Preferisco passare sotto silenzio ciò che hanno fatto nei calici, nei vasi consacrati, sui drappi…”, “…I paramenti intessuti d’oro con le immagini di Cristo e dei santi li usavano come giacigli per i loro cani e per i loro cavalli…”.
-Dai canti popolari neogreci struggente il frammento 194 raccolto da A. Passow:

“Presero la Città, la presero; presero Salonicco,
presero anche Santa Sofia, il grande monastero
che aveva trecento campanelli e sessantadue campane;
ogni campana un prete, ogni prete un diacono.
In quel che mostrasi il Santo e il re del mondo,
voce lor venne dai cieli, dalla bocca degli angeli:
"Lasciate codesta salmodia: posisi il Santo.
E mandate la notizia in terra dei Franchi, che vengano a prenderlo:
che prendano l’aurea croce e il santo vangelo,
e la sacra mensa che non sia violata".
Come l’udì la Madonna, piangono le immagini:
"Chetati, Signora nostra: non piangere, non lacrimare:
di nuovo cogli anni, co’ tempi, di nuovo è qui tuo”.

Conclusioni
La conquista di Costantinopoli da parte di Maometto II ebbe un’eco impressionante e fu accolta nel mondo cristiano come un evento catastrofico: rappresentava la conferma dell’espansione ottomana e il punto di partenza dell’ambizioso progetto di Maometto II di divenire imperatore dell’Europa cristiana.
La devastazione di Costantinopoli e le brutali violenze commesse, rappresentarono il simbolo del primo grande scontro di civiltà tra Islam e Occidente. Da quel momento la guerra in nome di Allah acquistò un’accelerazione senza precedenti, non più solo guerra per la conquista, ma guerra etnica, di religione. “Combattete coloro che non credono in Allah…”, “Quando poi siano trascorsi i mesi sacri, uccidete questi miscredenti ovunque li incontriate, catturateli, assediateli e tendete loro agguati…” recita il Corano (Sura 9, 3-5 e 9,29).
Enea Silvio Piccolomini, futuro Papa Pio II, definì la fine di Costantinopoli come “la seconda morte di Omero e di Platone”. La culla dell’antica civiltà greca era stata persa per sempre.
Tuttavia la straordinaria e raffinata cultura bizantina, diretta erede della cultura greca, diede linfa vitale e spinta propulsiva al Rinascimento.
La perdita dei territori e delle basi commerciali nel Mediterraneo e in Asia minore, diede impulso a nuovi commerci e nuove esplorazioni verso ovest, si pensi solo alla scoperta dell’America (1492).
Il Papato di Roma perdette uno storico antagonista, la Chiesa Bizantina, e contemporaneamente si indebolì con l’avvento della Riforma protestante. Come conseguenza della caduta della Chiesa Bizantina, nacque la cosiddetta terza Roma: Mosca, nuova sede della Chiesa Ortodossa.
Vorrei concludere con le riflessioni di Sir Patrick Leigh Fermor, grande studioso contemporaneo del mondo greco: “Vien quasi da impazzire pensando a cosa sarebbe accaduto se Bisanzio non fosse stata menomata dai crociati e stroncata dai turchi; se Bisanzio avesse partecipato al Rinascimento o l’avesse guidato, come pur negli ultimi spasimi guidò e rese possibile il suo avvento, invece di perire al suo inizio. Quale direzione, per esempio, avrebbe preso la pittura, quale sarebbe stato il seguito di Mistrà? Vengono i brividi, perché si affaccia l’idea terrificante che senza quegli eventi il Rinascimento avrebbe potuto non esserci ”.
Con i termini bizantino o bizantinismo si usa spesso definire un concetto come ampolloso, vetusto, ridondante, arcaico.
In realtà lo studio e la conoscenza della cultura bizantina aprono una finestra su un mondo affascinante, su una cultura raffinata che ha saputo conservare e tramandare l’antica cultura greca.
La cultura bizantina era l’erede diretta di Omero, Platone, Aristotele, e rappresenta le fondamenta della cultura europea.

Curiosità

-Il mese di maggio ricorre fatalmente nella storia di Costantinopoli: fondata da Costantino l’11 maggio del 330 d.C., distrutta da Mehmet II il 29 maggio 1453.

-La maestosa basilica di San Marco a Venezia è riccamente ornata di marmi, colonne e statue provenienti dagli edifici di Costantinopoli.

-Enea Silvio Piccolomini (Papa Pio II) a 10 anni dalla caduta di Costantinopoli tentò di chiamare i sovrani d’Europa a un’ultima crociata, la famosa quinta crociata o crociata inesistente. Tale crociata avrebbe dovuto riscattare il fallimento della Quarta e liberare la Città e l’impero dai Turchi. I sovrani non inviarono gli eserciti promessi e Pio II morì ad Ancona in vista della flotta adunata a metà. A tal riguardo si vedano le immagini della vita di Pio II nella Libreria Piccolomini, dipinte dal Pinturicchio all’interno del Duomo di Siena.

-Il corpo di Ghemisto Pletone, esponente della cultura umanistica alla corte dei paleologhi, fu recuperato da Sigismondo Malatesta e sepolto nel tempio malatestiano a Rimini.

-Mistrà è un’antica citta bizantina nel cuore del Peloponneso, nelle vicinanze di Sparta. E’ esattamente contemporanea al Trecento e al primo Quattrocento toscano ed umbro.

-Piero della Francesca e la Flagellazione (Urbino, Galleria Nazionale delle Marche).
Sullo sfondo dell’opera è evidente il Cristo flagellato che rappresenta la Chiesa d’Oriente, Pilato in trono rappresenta Giovanni VIII Paleologo, mentre il personaggio di spalle che ordina la flagellazione è il sultano turco. Dei tre personaggi in primo piano a destra dell’opera si possono individuare partendo da sinistra il mediatore greco, barbuto, con copricapo e vestito all’orientale; al centro un giovane biondo, scalzo, in posa statuaria ed enigmatica, vestito di porpora, detto il porfirogenito e, per finire, a destra un gentiluomo in broccato. Lo sguardo di ciascun personaggio non si incontra ma si perde all’infinito, come ad esprimere l’incapacità di trovare una soluzione comune per Costantinopoli. I tre uomini potrebbero essere, anche se le interpretazioni sono molteplici, da sinistra il Cardinale Bessarione (esponente della Chiesa d’Oriente, partecipò al Concilio di Firenze e Ferrara e tentò una mediazione tra le due Chiese, consapevole della minaccia ottomana), Giovanni VIII Paleologo e Buonconte di Montefeltro, figlio illegittimo di Federico.

-La rappresentazione del sacro nell’arte bizantina e nell’arte cristiana.
L’interpretazione bizantina delle sofferenze di Gesù Cristo non cerca la nostra partecipazione ai suoi tormenti fisici; le lacrime della Mater dolorosa e l’Ecce Homo, cari all’arte cristiana, sono quasi assenti. La Vergine Maria ha l’austero distacco di una imperatrice orientale; è calma, irreale, ieratica. Il Santo Bambino è astratto e ultraterreno e il suo è lo sguardo saggio di un adulto. Lo stesso Cristo crocifisso pur nel suo aspetto emaciato, ha carattere ultramondano. Le icone come le pitture di Piero sono del tutto impassibili. I Cristi occidentali espongono le loro ferite, quelli orientali siedono in trono in immobile splendore.

-La Bandiera turca: è costituita da una falce di luna calante con la stella del mattino, proprio come era la luna durante la notte del 29 maggio 1453.

-Trebisonda, città situata sulle coste del Mar Nero, alle pendici della catena del Ponto, rimase dopo la presa di Costantinopoli l’ultimo baluardo della civiltà bizantina. Il suo nome deriva dal greco Trapezunte (dal greco τράπεζα, trapeza = tavola); in turco è detta Trabzon. Rappresentava un importante riferimento per i naviganti, al punto che nacque il detto “perdere la Trebisonda”. Tale espressione significa perdere la rotta, l’orientamento, la ragione.

Bibliografia essenziale
Storia dell’Impero Bizantino. Georg Ostrogorsky. Einaudi
Costantinopoli. Splendore e declino della capitale dell’impero ottomano 1453-1924. Philip Mansel. Mondadori
La conquista di Costantinopoli. Tursun Bey. Mondadori
Storia della Grecia moderna. Richard Clogg. Bompiani
Poeti Bizantini. Raffaele Cantarella. BUR
L’enigma di Piero. Silvia Ronchey. Rizzoli
Mani. Viaggi nel Peloponneso. Patrick Leigh Fermor. Adelphi
Biblioteca. Fozio. Biblioteca Adelphi
Storia della letteratura neogreca. Mario Vitti. Carocci
La conquista di Costantinopoli. Tursun Bey. Mondadori

giovedì 1 aprile 2010

Introduzione

Questo blog è dedicato a tutti coloro che amano la Grecia e la cultura greca.
Chiunque può portare un contributo o una testimonianza.
A presto...e kalo' taxidi!!!

Monemvassia

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scorcio di Mistrà

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Tramonto sul golfo di Nafplion

Tramonto sul golfo di Nafplion

La bandiera greca

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